Come indicato dalla Borsa Italiana gli NPL (Non-Performing Loans) “sono attività che non riescono più a ripagare il capitale e gli interessi dovuti ai creditori. Si tratta in pratica di crediti per i quali la riscossione è incerta sia in termini di rispetto della scadenza che per ammontare dell’esposizione”.

Gli NPL sono generalmente noti come crediti deteriorati e, nell’ultimo decennio, il loro peso ha avuto un aumento e di conseguenza un’incidenza sempre più importante per gli enti creditizi.

I crediti deteriorati sono di differenti tipi: le sofferenze, gli incagli e le esposizioni.

Sofferenze

Sono quei crediti la cui riscossione non è certa da parte degli intermediari che hanno erogato i finanziamenti perché i soggetti debitori risultano in stato di insolvenza (anche non conclamata) o in situazioni equiparabili. Gli enti creditori, per evitare questa situazione e i rischi che ne conseguono, sono tenuti ad accantonare riserve proporzionate al credito e al suo rischio.

Incagli

A differenza delle sofferenze, gli incagli rappresentano un rischio minore poiché si presuppone che il titolare del debito sia impossibilitato solo momentaneamente a onorare il proprio debito nei confronti dell’ente creditore. Questi NPL richiedono, quindi, un accantonamento di minor entità rispetto alle sofferenze.

Esposizioni

Oltre alle sofferenze e agli incagli il mondo dei crediti deteriorati conta le esposizioni ristrutturate e le esposizioni scadute o sconfinanti. Se le esposizioni ristrutturate sono esposizioni che una banca accumula a seguito di modifiche dei termini contrattali causate dal peggioramento della situazione finanziaria debitoria, le esposizioni scadute o sconfinanti sono tutte quelle non possono essere inserite nelle sofferenze, negli incagli o nelle esposizioni ristrutturate e risultano non onorate, a seconda dei casi, da oltre 90 o 180 giorni.

Centrale rischi

Per monitorare la situazione di tutti i debitori la Banca d’Italia ha creato la Centrale dei rischi, dove confluiscono tutti i dati relativi alle posizioni debitorie di ogni soggetto, permettendo agli enti creditizi di valutare il rischio globale e la solvibilità di ciascun cliente.

Le disposizioni della BCE

A livello europeo il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Centrale Europea stanno portando avanti una politica che mira a ridurre drasticamente la presenza degli NPL nei bilanci delle banche europee al fine di non vanificare gli sforzi compiuti, in questi anni, dagli stati membri e dalla BCE.

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Un 2017 amaro

Dopo l’attivismo che aveva caratterizzato il mercato globale delle fusioni e acquisizioni del 2016 e che aveva lasciato ben sperare gli analisti di settore, il mercato italiano dell’M&A chiude il 2017 con una flessione che lascia l’amaro in bocca.

Tuttavia, i rallentamenti pare che siano riconducibili alla mancata conclusione di operazioni annunciate nel 2017 che, se dovessero concretizzarsi nel 2018, riporterebbero i valori ben al di sopra della media auspicata.

Parliamo, per esempio, di operazioni che necessitano l’approvazione dell’Antitrust UE: Luxottica-Essilor; Ilva-Am Investco (braccio operativo di ArcelorMittal e Marcegaglia)
 di quelle operazioni che sono al vaglio, da diverso tempo, di commissari – ad acta-: si veda per esempio il caso Alitalia.

In termini di valore Kpmg, nel suo rapporto 2017 “Mergers & Acquisitions”, fa riferimento al mercato italiano con 733 operazioni concluse per circa 41 miliardi di euro spesi (l’1% in meno rispetto a quelle registrate nel 2016 con un differenziale di 15 miliardi di euro).

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Il grido di allarme arriva da molte PMI italiane ormai a corto di liquidità e in continua lotta con banche e le altre aziende che non pagano.

Se da un lato il Governo ha cercato di tamponare al problema istituendo il “Fondo Serenella”, un finanziamento a tassi agevolati in favore delle PMI in crisi, dall’altro non va sicuramente meglio con l’Accesso al Credito, in quanto ormai le banche hanno ridotto ogni aiuto e finanziano sempre meno i progetti delle aziende (in media un’impresa su tre).

Per cercare quindi di trovare altre fonti di finanziamento, le aziende stanno iniziando a sperimentare nuovi strumenti e hanno trovato un feedback positivo ed importante nella finanza alternativa.

Tra questi l’invoice tradingl’equity crowdfunding e il social lending: strumenti che permettono di ricevere immediatamente liquidità in cambio di fatture o di tassi di interessi abbastanza contenuti.

In particolare il social lending è uno strumento in netta crescita e si tratta di piattaforme dove le piccole e medie imprese possono presentare i propri progetti e chiedere finanziamenti direttamente ai privati. Altrettanto in crescita il factoring, ovvero la vendita di crediti deteriorati ad aziende specializzate nel recupero; così facendo le aziende ottengono liquidità nel breve anche con la possibilità di perdere qualcosa rispetto al totale del debito.

Ed è proprio in questa che viene definita finanza alternativa che molte PMI stanno puntando le ultime speranze.

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Continuano i segnali positivi dal mercato italiano che fanno ben sperare per la salute delle nostre imprese: migliorano, infatti, gli indici di gestione relativi al credito, specchio della liquidità primaria aziendale su cui far leva per far fronte alle difficoltà economiche.

Rispetto ad un anno fa, i pagamenti oltre i 30 giorni di ritardo sono calati del 13%: un’impresa su tre rispetta i tempi pattuiti con i fornitori. “A marzo 2017 il 35,6% delle imprese paga alla scadenza, il 52,4% entro il mese di ritardo, mentre è il 12% la quota dei ritardi gravi. Una percentuale, quest’ultima, che ha raggiunto il suo minimo storico dal 2012 ad oggi, anche se rispetto al 2010 è comunque più alta del 118,2%”: questo è quanto si legge nello Studio Pagamenti Italia realizzato da CRIBIS, la società del Gruppo CRIF specializzata nella business information.

A livello nazionale le imprese più virtuose sono quelle del nord est d’Italia con il 44,1% che paga regolarmente, la maglia nera spetta al sud ed alle isole, dove il 19,7% salda ancora con grande difficoltà i debiti con i fornitori.

Bene i comparti dei servizi finanziari, dell’industria e della produzione, male quello del commercio al dettaglio che rischia di condizionare l’andamento di tutte le filiere produttive a monte.

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